ANNO 14 n° 119
Peperino&Co.
Tutta la storia della chiesa
di S. Croce dei Mercanti
di Andrea Bentivegna
16/04/2016 - 02:01

di Andrea Bentivegna

Angelo Tavernieri era uno degli uomini più ricchi di Viterbo. Ricopriva il prestigioso incarico di Tesoriere del Patrimonio ma la sua fortuna l’aveva costruita in modo molto meno onorevole: l’usura.

Era un personaggio ben conosciuto dai suoi cittadini che ne temevano le sue intimidazioni fatte sempre con metodi non poco ortodossi. Era arrivato al punto, si dice, di far scoperchiare i tetti delle case di coloro che non restituivano i prestiti. I viterbesi, evidentemente, con i tetti hanno sempre avuto un rapporto molto particolare.

Fu probabilmente un qualche tipo di rimorso per il denaro così indegnamente accumulato a spingere Tavernieri a donare, nel 1371, una parte del suo patrimonio per la costruzione di una chiesa. Così, per i sensi di colpa di uno strozzino, fu eretta la chiesa di Santa Croce dei Mercanti.

Questo nome non dirà granché ai più dal momento che della chiesa, sconsacrata da tempo, si è progressivamente perduta la memoria sebbene sia ancora oggi un edificio piuttosto familiare ai viterbesi trovandosi lungo via Saffi, in corrispondenza di piazza Mario Fani, all’angolo con via Fontanella Sant’Angelo.

Sebbene dell’interno, adibito oggigiorno ad esposizioni spesso di dubbio gusto, non si sia conservato granché dell’aspetto originario, esternamente possiamo ancora ammirare soprattutto lo splendido portale scolpito nel peperino. Si tratta di un’opera notevolissima nel suo genere, un vero e proprio sunto di tutti i motivi ornamentali che caratterizzavano l’architettura del XIV secolo. Ispirato indubbiamente all’analogo e più antico portale di Santa Maria della Salute (in via Ascenzi) ne ripropone il tema della decorazione tortile che tuttavia viene qui arricchita da ulteriori motivi come ad esempio lo splendido motivo floreale e le intarsiature definite ''a punta di diamante'' che, in seguito, ritroveremo in tanti altri edifici viterbesi come il Palazzetto Mazzatosta.

Un manufatto splendido, una testimonianza fondamentale di un’epoca in cui le superbe maestranze viterbesi, anonime per la storia, ci hanno consegnato dei capolavori impareggiabili.

Di questo edificio torniamo ad avere notizie già nel secolo successivo quando, nel 1474, Papa Sisto IV decretò che in quel luogo, evidentemente non più adibito alle funzioni, si stabilisse la Zecca. L’istituzione, come si legge sulle cronache dell’epoca, non piacque mai ai viterbesi ed addirittura un prelato, Pietro Lunensi, disse in merito che ''la cupidigia del denaro potrebbe indurre i cittadini a distruggere le suppellettili domestiche''.

Nonostante previsioni tanto drammatiche i nostri concittadini e le loro suppellettili superarono indenni quest’epoca ma è senza dubbio curioso come il denaro, che dà origine della costruzione, sia tornato poi a caratterizzare la storia di questo edificio.

La vita dell’ex chiesa di Santa Croce è proseguita nei secoli. Questo luogo fu utilizzato per le attività più disparate, addirittura, in epoca recente, e parliamo degli anni ’30 del Novecento, si ha notizia di una disputa tra un produttore di mattonelle, Antonio Barelli e il Podestà di Viterbo che rifiutava di concedere l’autorizzazione affinché l’edificio, nel cuore della città, divenisse una fabbrica. La controversia si concluse, come testimoniano i documenti, solo nel 1936 quando Barelli annunciò di voler trasferire la sua attività in vi San Biele.

Pochi anni dopo questi fatti ci si occuperà nuovamente di questo edificio. Nel 1953 infatti l’amministrazione provinciale si fece carico dei lavori di restauro dell’ex chiesa che venne trasformata in biblioteca. Nel 1943 infatti, un illustre accademico viterbese, Anselmo Anselmi, docente di Economia Politica e Scienze delle Finanze ma anche appassionato bibliofilo, aveva donato, poco prima di morire i suoi numerosissimi volumi alla città.

La chiesa di Santa Croce dei Mercanti verrà dunque ancora una volta trasformata per divenire un’importante biblioteca cittadina che al suo interno ospitava più di cinquemila volumi e che portava il nome proprio di Anselmi. Nome con cui l’edificio è ancora oggi indicato dai più. Così fu sino al 1973 quando la biblioteca venne spostata nella nuova sede di viale Trento e per l’ex chiesa iniziò una nuova, ennesima, vita, che per ora è anche quella definitiva, in cui il suo spazio è utilizzato per ospitare esposizioni ed eventi.





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